Il contratto di cessione di marchio
Il marchio può essere ceduto dal titolare ad un altro soggetto, per la totalità, o anche solo per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato. Lo stesso vale altresì per il marchio di fatto, o non registrato, che ugualmente può essere trasferito ad altri.
Il trasferimento del diritto di marchio, alla stregua del trasferimento di ogni altro diritto di contenuto patrimoniale, comporta che il cedente attribuisca in via definitiva all’acquirente i diritti sul marchio stesso. Seppure il trasferimento del marchio possa avvenire in forza di diverse cause, quali ad esempio la donazione, la successione ereditaria, l’assegnazione in proprietà a un socio, a seguito di fusione o scissione societaria, di fatto l’ipotesi più ricorrente è quella del contratto di vendita o cessione.
In passato, precisamente fino all’anno 1992, la cessione del marchio era subordinata al contestuale trasferimento dell’azienda o del ramo d’azienda. Oggi, venuto meno tale limite, la legge impone tuttavia che dal trasferimento del marchio non derivi inganno nel pubblico dei consumatori circa le caratteristiche essenziali dei prodotti o servizi. In altri termini, l’acquirente, a qualsiasi titolo, del marchio deve garantire ai consumatori lo stesso livello qualitativo di quello garantito in precedenza dal vecchio titolare. Ciò a pena di decadenza del marchio stesso.
Nell’ipotesi di trasferimento totale, il titolare del marchio lo trasferisce ad altro soggetto integralmente, cioè per la totalità dei prodotti o servizi per cui il marchio è registrato o utilizzato, decidendo così di monetizzare integralmente gli investimenti effettuati per l’asset immateriale.
Viceversa, nel caso di trasferimento parziale, il titolare del marchio lo cede solamente per alcuni prodotti o servizi, mantenendo contestualmente la titolarità del segno distintivo per altri prodotti o servizi; oppure lo cede per alcuni prodotti e servizi ad un soggetto e per altri prodotti e servizi ad un soggetto ulteriore. Nessun problema si pone nel caso in cui non vi sia affinità tra i prodotti e servizi per i quali il marchio viene ceduto, e i prodotti e servizi per i quali il marchio rimane in capo all’originario titolare o viene ceduto ad un soggetto ulteriore. Viceversa, tale operazione sembra illegittima qualora abbia ad oggetto prodotti e servizi affini, nella misura in cui ogni soggetto godrebbe di autonomia economica e giuridica e potrebbe derivarne rischio di confusione o di inganno per i consumatori.
Infine, sembra vietato che la cessione del marchio avvenga con riferimento ad uno specifico e limitato ambito territoriale, quale ad esempio una regione italiana. Per questa ipotesi, infatti, da un lato sembra esserci un rischio di confusione per i consumatori, mentre dall’altro lato non sembra esserci compatibilità con il sistema di pubblicità, i cui effetti sono estesi all’intero ambito nazionale.
Quanto alla forma del contratto di cessione di marchio, poiché viene richiesta la trascrizione presso l’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti per risolvere il problema del conflitto fra più acquirenti e poiché la trascrizione presuppone la presenza di un atto scritto, nella sostanza si rileva la necessità quantomeno di una scrittura privata tra le parti. Nel caso in cui il trasferimento del marchio derivi non da cessione, ma da altre cause, sarà necessaria la forma prescritta per l’operazione specifica utilizzata: ad esempio, in caso di donazione, l’atto pubblico. Infine, per quanto concerne i marchi comunitari, è richiesta la forma scritta a pena di nullità del trasferimento.