La difesa del segreto di impresa in azienda e nei rapporti con i terzi

La difesa del segreto di impresa in azienda e nei rapporti con i terzi

Cos’è il know how

La nozione di know how è nata nella prassi commerciale e non è stata ancora recepita dai diversi ordinamenti giuridici.

Dal punto di vista letterale, il termine “know how” è l’abbreviazione dell’espressione anglo-americana the know-how to do it: “il sapere come farlo”.

Si tratta, come si vede, di una nozione generica, che nell’attività di impresa viene comunemente riferita a qualsiasi conoscenza suscettibile di applicazione economica e, in particolare, alle conoscenze relative alla fabbricazione di un prodotto, all’applicazione di un procedimento produttivo, alla prestazione di un servizio, alla commercializzazione di prodotti, e così via.

Dal punto di vista giuridico, una nozione così ampia è subito parsa poco soddisfacente perché può riferirsi, indistintamente, a conoscenze che presentano forti difformità di tutela giuridica.

Si è quindi proposto di distinguere, nell’ambito delle conoscenze di impresa, quelle brevettate, che costituiscono l’oggetto di un diritto di esclusiva legale, da quelle non brevettate che, come vedremo, sono tutelate in modo più attenuato. L’uso del termine “know how” è stato così riservato alle sole conoscenze non brevettate.

Si è poi discusso se il “know how” dovesse riferirsi alle sole conoscenze tecniche o anche a quelle commerciali, e alle sole conoscenze trasmissibili per iscritto (technical documentation) o anche a quelle trasmissibili verbalmente (technical assistance) o mediante attività dimostrativa (show-how). In realtà. A ben vedere, non c’è ragione di escludere l’uno o l’altro tipo di conoscenza, dato che esse non differiscono sensibilmente per il tipo di trattamento giuridico.

Si potrebbe quindi affermare che con il termine know how si intendono le conoscenze non brevettate, tecniche o commerciali, trasmissibili per iscritto o per altra forma.

Di conseguenza la nozione di know how viene a coincidere con quella di segreto di impresa.

Ci domandiamo quindi: come si distinguono le conoscenze segrete da quelle non segrete? Di quale tutela godono le conoscenze segrete? Come differisce questa tutela da quella brevettuale? Come è possibile proteggere il segreto?

 

Il segreto di impresa e la sua tutela

Le norme di diritto industriale che più direttamente tutelano il segreto sono previste agli articoli 98 e 99 del Codice della proprietà industriale.

Il segreto aziendale tutela le informazioni soggette al legittimo controllo del loro detentore, a condizione che dette informazioni siano segrete, abbiano un valore economico in quanto segrete e siano sottoposte a misure ragionevoli a mantenerle segrete (art. 98 CPI).

Con il termine “segreto” si intendono le  informazioni aziendali che, singolarmente o nel loro insieme o combinazione, non siano generalmente note o facilmente accessibili agli esperti del settore. Così chiarita la nozione di segreto, la normativa in esame impone a terzi il divieto di rivelare, acquisire od usare tali informazioni ”segrete” in modo abusivo.

 

La difesa dei segreti in azienda e nei rapporti con i terzi

La norma stabilisce che i soggetti interessati alla difesa delle proprie informazioni hanno l’onere di adottare “misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”.

Se queste misure non vengono adottate non si avrebbe dunque tutela del segreto.

L’adozione di idonee misure dovrà attuarsi sia all’interno dell’azienda sia nei rapporti con i terzi..

In particolare:

è consigliabile identificare quali siano le informazioni che si intendono sfruttare in regime di segreto (documenti tecnici, documenti commerciali, e così via). Quindi sarà opportuno contrassegnare questa documentazione con la dicitura “segreto”, ”confidenziale” o alta equivalente e conservarla in luoghi non facilmente accessibili ai non addetti ai lavori;

sarà opportuno adottare misure di riservatezza nel trattamento dei dati elettronici;

si dovrà valutare se non sia il caso di prevedere appositi accordi di riservatezza con i propri dipendenti;

per quanto riguarda invece i rapporti con i terzi occorrerà evitare di fornire informazioni non strettamente necessarie all’esecuzione del contratto e sarà in ogni caso opportuno sia concludere accordi di riservatezza che regolino la comunicazione di informazioni nella fase delle trattative precontrattuali, sia pattuire apposite clausole di segretezza nell’ambito del testo contrattuale.

In parole povere:

nell’ufficio aziendale di ricerca e sviluppo possono entrare solo gli addetti con cui sarebbe opportuno prevedere accordi di riservatezza;

disciplinare l’utilizzo delle chiavette in cui è possibile memorizzare i risultati della ricerca e sviluppo; e

accordi di riservatezza con i fornitori, contoterzisti ecc. che lavorano su progetti aziendali.

Il contratto di cessione di marchio

Il contratto di cessione di marchio

Il marchio può essere ceduto dal titolare ad un altro soggetto, per la totalità, o anche solo per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato. Lo stesso vale altresì per il marchio di fatto, o non registrato, che ugualmente può essere trasferito ad altri.

Il trasferimento del diritto di marchio, alla stregua del trasferimento di ogni altro diritto di contenuto patrimoniale, comporta che il cedente attribuisca in via definitiva all’acquirente i diritti sul marchio stesso. Seppure il trasferimento del marchio possa avvenire in forza di diverse cause, quali ad esempio la donazione, la successione ereditaria, l’assegnazione in proprietà a un socio, a seguito di fusione o scissione societaria, di fatto l’ipotesi più ricorrente è quella del contratto di vendita o cessione.

In passato, precisamente fino all’anno 1992, la cessione del marchio era subordinata al contestuale trasferimento dell’azienda o del ramo d’azienda. Oggi, venuto meno tale limite, la legge impone tuttavia che dal trasferimento del marchio non derivi inganno nel pubblico dei consumatori circa le caratteristiche essenziali dei prodotti o servizi. In altri termini, l’acquirente, a qualsiasi titolo, del marchio deve garantire ai consumatori lo stesso livello qualitativo di quello garantito in precedenza dal vecchio titolare. Ciò a pena di decadenza del marchio stesso.

Nell’ipotesi di trasferimento totale, il titolare del marchio lo trasferisce ad altro soggetto integralmente, cioè per la totalità dei prodotti o servizi per cui il marchio è registrato o utilizzato, decidendo così di monetizzare integralmente gli investimenti effettuati per l’asset immateriale.

Viceversa, nel caso di trasferimento parziale, il titolare del marchio lo cede solamente per alcuni prodotti o servizi, mantenendo contestualmente la titolarità del segno distintivo per altri prodotti o servizi; oppure lo cede per alcuni prodotti e servizi ad un soggetto e per altri prodotti e servizi ad un soggetto ulteriore. Nessun problema si pone nel caso in cui non vi sia affinità tra i prodotti e servizi per i quali il marchio viene ceduto, e i prodotti e servizi per i quali il marchio rimane in capo all’originario titolare o viene ceduto ad un soggetto ulteriore. Viceversa, tale operazione sembra illegittima qualora abbia ad oggetto prodotti e servizi affini, nella misura in cui ogni soggetto godrebbe di autonomia economica e giuridica e potrebbe derivarne rischio di confusione o di inganno per i consumatori.

Infine, sembra vietato che la cessione del marchio avvenga con riferimento ad uno specifico e limitato ambito territoriale, quale ad esempio una regione italiana. Per questa ipotesi, infatti, da un lato sembra esserci un rischio di confusione per i consumatori, mentre dall’altro lato non sembra esserci compatibilità con il sistema di pubblicità, i cui effetti sono estesi all’intero ambito nazionale.

Quanto alla forma del contratto di cessione di marchio, poiché viene richiesta la trascrizione presso l’Ufficio Italiano Marchi e Brevetti per risolvere il problema del conflitto fra più acquirenti e poiché la trascrizione presuppone la presenza di un atto scritto, nella sostanza si rileva la necessità quantomeno di una scrittura privata tra le parti. Nel caso in cui il trasferimento del marchio derivi non da cessione, ma da altre cause, sarà necessaria la forma prescritta per l’operazione specifica utilizzata: ad esempio, in caso di donazione, l’atto pubblico. Infine, per quanto concerne i marchi comunitari, è richiesta la forma scritta a pena di nullità del trasferimento.

Regolamento comunitario sul design

Regolamento comunitario sul design

Il Regolamento comunitario sul design è entrato in vigore il 6 marzo 2002 su tutto il territorio dell’Unione Europea.

Tale Regolamento prevede due diverse tipologie di tutela: il design non registrato, che per il nostro ordinamento ha costituito una novità assoluta, e il design registrato.

Il diritto sul design non registrato si costituisce con la creazione del modello o disegno e la sua divulgazione all’interno dell’Unione Europea. Tale diritto dura 3 anni dalla prima divulgazione. L’ambito di tutela non è però assimilabile a quello del design registrato in quanto il design non registrato protegge, sostanzialmente, solo la copia intenzionale dell’oggetto divulgato.

Inoltre, si tratta di un diritto che può comportare rilevanti oneri probatori poiché, in caso di controversia fra le parti, dovrebbe essere dimostrata la data e le modalità di divulgazione del “primo” oggetto del design non registrato e la copiatura da parte dell’altro soggetto.

Per i motivi sopra esposti, appare comunque consigliabile ricorrere alla registrazione del design.

Il diritto sul design registrato ha una durata fino a 25 anni dalla data di deposito della domanda. Esso conferisce il diritto d’uso esclusivo del design ed il conseguente potere di impedirne l’uso  terzi.

I  requisiti di registrabilità del design sono la novità (due disegni o modelli sono considerati uguali se differiscono unicamente per dettagli irrilevanti) ed il carattere individuale (un disegno o modello è provvisto di carattere individuale quando suscita in un utilizzatore informato una impressione che differisce in modo significativo da quella generata da altri modelli).

Qualsiasi soggetto (persone fisiche e giuridiche) può depositare la domanda di design registrato presso l’EUIPO (già UAMI). La comunione è ammessa.

Nella domanda è necessario riportare la richiesta di registrazione; l’indicazione di dati del richiedente; la riproduzione grafica del disegno o del modello; e l’indicazione dei prodotti a cui il modello viene applicato. La pubblicazione può essere differita fino a 30 mesi dalla data di deposito.

 

CONSIGLI

  • Se il prodotto è stagionale e cioè si pensa che sarà commercializzato per due o tre anni non conviene depositare la domanda. Attenzione però a dimostrare la data di prima divulgazione (presentazione in Fiera, catalogo datato, fatture di vendita, ecc.).
  • Nel caso di deposito di una domanda conviene depositare un modello multiplo e cioè depositare l’oggetto che andrà in commercio e oggetti simili in modo da proteggere anche oggetti che differiscono anche di poco dall’oggetto che andrà in commercio. Questo per il fatto che l’analisi del carattere individuale è una analisi soggettiva dell’utilizzatore informato. Inoltre chi è l’utilizzatore informato? Il distributore, l’installatore, l’utilizzatore finale?