Ai fini della determinazione dei metodi di calcolo del contributo economico al reddito di impresa derivante dall’utilizzo diretto dei beni immateriali agevolabili, il decreto Patent Box stabilisce che si debba far riferimento alle Linee Guida OCSE.
In particolare tali Linee Guida specificano che la selezione del metodo più appropriato per la determinazione dei prezzi di trasferimento deve essere guidata da un’analisi funzionale in modo tale da comprendere meglio le diverse interazioni tra i beni immateriali e i rischi che caratterizzano l’attività d’impresa.
La Circolare Agenzia Entrate precisa che i metodi di transfer pricing preferibili sono il metodo del confronto del prezzo (CUP) e il metodo basato sulla ripartizione dei profitti (Profit Split Method).
Viene scoraggiato invece l’utilizzo del metodo di rivendita (Resale Price Method), il metodo del margine netto della transazione (Transactional Net Margin Method) e il metodo del costo maggiorato (Cost Plus Method) poiché ritenuti non affidabili nella valutazione diretta degli intangibili.
Metodo del confronto del prezzo (CUP)
Tale metodo è indicato dalla Linee Guida OCSE come il metodo preferibile per stabilire se le condizioni poste in essere tra imprese consociate siano coerenti col principio di libera concorrenza.
La corretta applicazione di tale metodo richiede elevati livelli di comparabilità nell’ambito delle transazioni controllate ovvero tra imprese associate, e nell’ambito delle transazioni indipendenti ossia quelle sul libero mercato. Nel caso vi siano differenze tra queste due tipologie di transazione e non sia possibile fare alcun tipo di aggiustamento e quindi, ad esempio, quando non sia possibile identificare transazioni comparabili indipendenti sul libero mercato, il metodo del CUP non potrà essere applicato in maniera affidabile.
Questo metodo può essere utilizzato in due differenti modalità: CUP interno ed esterno. Nel primo caso si confrontano le condizioni applicate dall’impresa in una transazioni con parti correlate e quelle applicate dalla medesima a soggetti terzi indipendenti; nel secondo caso invece si confrontano le condizioni applicate in una transazioni con parti correlate e quelle adottate tra soggetti terzi indipendenti.
L’applicazione del metodo CUP può essere sviluppata nella fase di determinazione del tasso di royalty di mercato o nella fase di individuazione dei ricavi ai quali applicare il tasso di royalty già identificato. Il reddito agevolabile risulta dalla differenza tra il canone ottenuto dall’applicazione del tasso di royalty di mercato, i costi diretti fiscalmente rilevanti nonché la quota parte di quelli indiretti collegata al predetto bene immateriale.
Il metodo del Profit Split
Il metodo di ripartizione degli utili delle transazioni ha come obiettivo quello di eliminare gli effetti sugli utili derivanti dalle condizioni speciali convenute o imposte in una transazione controllata.
Il metodo si applica in quelle situazioni in cui due o più soggetti coinvolti in una transazione contribuiscono in misura significativa alla determinazione dell’utile che da tale operazione si origina o in tutti quei casi in cui l’utilizzo di un metodo unilaterale non sarebbe appropriato.
Nelle ipotesi in cui il metodo CUP non risulti applicabile in maniera affidabile, tale metodo risulta il più adeguato.
Esso è utilizzato per determinare la ripartizione dei redditi non tra due o più imprese correlate, ma all’interno della stessa impresa, al fine di isolare il profitto residuale attribuibile al bene immateriale.
Una variante di questo metodo è rappresentata dal Residual Profit Split (RPSM), attraverso la quale si va ad attribuire una parte di reddito alle funzioni “routinarie” determinando, per differenza, l’utile o la perdita residua derivante dai beni intangibili.
L’applicazione di tale metodo segue le seguenti fasi:
– individuazione del reddito da ripartire;
– remunerazione delle funzioni routinarie;
– determinazione dell’extra-profitto individuato come differenza tra risultato economico della società e remunerazione delle funzioni routinarie;
– individuazione di tutti i beni intangibili ed altri eventuali fattori a cui attribuire l’extra-profitto;
– imputazione della quota parte di extra-profitto al bene intangibile isolando la quota parte da attribuire agli altri fattori. Il criterio guida deve sempre essere la determinazione della quota parte di reddito di impresa imputabile all’ipotetico “ramo d’azienda”, ragione per cui non può essere oggetto di agevolazione la quota parte di extra-profitto eventualmente riferibile ai cd. manufacturing returns e marketing returns.
Inoltre per quanto riguarda la quota parte di extra-profitto, occorre tener conto delle variazioni fiscalmente rilevanti ai fini IRPEF/IRES.
Infine nel caso in cui vi siano beni intangibili agevolabili, collegati da un vincolo di complementarietà, tali beni immateriali possono costituire un solo bene, ai fini dell’imputazione della quota parte di extra-profitto.
In caso di utilizzo di metodi diversi da quelli suggeriti dalle Linee Guida OCSE e fin cui esposti, il contribuente ha l’onere di motivare in dettaglio le ragioni per le quali i metodi del CUP e del Residual Profit Split sono stati considerati meno appropriati o non praticabili.
Il contribuente che utilizzi metodi diversi da quelli sopra descritti ha in ogni caso l’onere di dimostrare che la determinazione del reddito è coerente con il principio dell’arm’s length così come descritto nelle Linee Guida OCSE.
Eventualmente qualora l’utilizzo di un unico metodo non consenta di determinare con certezza il contributo economico, il contribuente può ricorrere all’utilizzo congiunto di più metodi qualora ciò gli consenta di raggiungere un risultato più affidabile e conforme al principio di libera concorrenza.